La lezione del tacchino vivo
E’ stata una scena memorabile quella che ho visto durante il programma tv, ormai cult, MasterChef.
La scena vede i concorrenti aspiranti cuochi professionisti alle prese con volatili vivi sparsi nella dispensa e che ognuno deve acchiappare per poi cucinarli per un test decisivo.
Almeno, questo è quello che gli autori hanno fatto credere loro.
Infatti, quando si presentano alla giuria – chi con un tacchino vivo, chi con una quaglia o un pollo pulsanti tra le braccia –tremando all’idea che avrebbero dovuto prima ucciderli e poi inventarsi la migliore ricetta per esaltarne il sapore (sic!), i giudici, con espressione molti divertita, annunciano che avrebbero evitato loro la sofferenza di vedere morire l’animale.
In realtà, hanno pensato di fornire la materia prima già bella ammazzata, spennata e pronta all’uso.
Sospiro di sollievo dei concorrenti, compreso quello della concorrente vegetariana…
Capito? Più c’è distanza dalla vita, dalle sue espressioni concrete e vibranti, e più la nostra coscienza è tranquilla.
Più ci abituiamo all’idea che gli animali che mangiamo non sono altro che oggetti, bistecche, polpette confezionate in vassoi ad hoc, e più ci allontaniamo dal rispetto dell’esistenza.
E se qualcuno pensa che tutto questo si limiti solo al mondo animale, segnalo che i rapporti umani oggi risultano sempre più mediati da realtà virtuali, in cui il contatto diretto è solo immaginario.
Con il rischio di trasformare gli altri, esseri viventi in carne e ossa, in impulsi emozionali immediati: “mi piaci”, “non mi piaci”.
di Ennio Battista, Vita&Salute