Mai rifiutare mansioni apparentemente umili
Una bella lezione di vita di Cesare Rimini
Il più giovane dei miei nove nipoti, Matteo, si è messo d’accordo, a mia insaputa, con la sua professoressa di prima media.
Mi hanno dato un compito: devo andare a raccontare ai ragazzi a scuola che cos’è il mio lavoro di avvocato, cosa sono le leggi, che cos’è il diritto di famiglia.
Penso che dopo di me toccherà a altri nonni, ognuno parlerà del suo lavoro con la passione di una vita.
Sono molto preoccupato più che per una causa difficile. Come si fa a spiegare ai ragazzi di undici anni che cosa è il diritto, cosa sono le cause, e quelle matrimoniali poi? Non devo dimenticare che ormai molti bambini e ragazzi a scuola sono figli di genitori separati. Cercherò di raccontare le storie che ho visto e sentito, proprio quelle storie che mi hanno fatto compagnia e che mi danno la speranza e la fiducia di essere utile.
Comincerò a raccontare il mio primo giorno nello studio in cui lavoro ancora: avevo ventitré anni appena laureato. Arrivai alle nove in punto. C’erano tre avvocati e una segretaria alta, giovane e bella. Mi diedero una stanza: il tavolo era sgombro, c’era solo il volume dei quattro codici (civile, procedura civile, penale e procedura penale). Nel silenzio guardavo i quadri e i libri. Nessuno si occupava di me. Finalmente a metà mattinata venne la segretaria bella e con un gran sorriso mi disse: «Dottore, noi a quest’ora mangiamo un panino al tonno, quelli di Taveggia, sono buonissimi. Questa mattina va a prenderli lei?». Fui tempestivo ed efficace, qualità fondamentali per un avvocato.
È la prima causa che ho vinto.